Immaginate di trascorrere le giornate visitando templi mistici, cascate nella giungla e vulcani attivi. Immaginate di non vedere l’ora che suoni la sveglia per buttarsi in un tour senza sosta di luoghi incredibili e di concludere una lunga giornata di fotografie, visite e sorrisi gustando una cena a base di… soia fermentata. Ok, non suona benissimo, ma questo cibo, celebre tra vegetariani e vegani poiché proteico quanto una gustosa bistecca, è uno dei simboli culinari dell’Indonesia ed in particolare di Bali. La preparazione? Semi di soia gialla vengono ridotti in poltiglia, poi si aggiunge un fungo… lasciamo perdere! Ciò che interessa è il mangiarlo, sentirne il sapore, particolare senza dubbio e come il ricordo che un piatto gustato in viaggio ci fa subito portare il pensiero ai luoghi visitati ed alle atmosfere respirate. Così accade con il tempeh che lo si mangi fritto, al vapore, accompagnato da verdure o riso ha un sapore talmente unico e deciso che si fa notare e rimane impresso, così come il luogo dove se n’è fatta incetta. Ecco che, per quanto mi riguarda, il tempeh equivale ad Ubud, ovvero l’altra Bali, o meglio: la vera Bali. Se esiste, infatti, una parte di quest’isola estroversa, chiassosa, festosa e godereccia (vedasi Seminyak, Canggu e compagnia), l’altra faccia dell’isola è meditativa, serena, fortemente spirituale ed apprezzata tanto dai vlogger di viaggio quanto dagli appassionati di yoga occidentali, che qui giungono a flotte per ritiri intensivi. Ubud, incastonata tra colline lussureggianti, risaie e porzioni di giungla impenetrabile, è il vero cuore pulsante dell’isola. I templi antichi, i santuari hindu e mistiche credenze locali hanno reso questa cittadina, nel tempo, il luogo ideale in cui far crescere un approccio differente alla vita quotidiana. Centri yoga, spazi per la meditazione e locali che servono solo centrifugati e piatti in cui i germogli di soia sono i veri protagonisti, si sono diffusi rapidamente dando origine a un luogo in cui persone da tutto il mondo giungono per trovare il proprio “io”, la serenità persa e magari incontrare il guru più di tendenza. Se è imperdibile la visita alla foresta in pieno centro popolata da centinaia di scimmie non troppo socievoli, è ugualmente impensabile giungere a Bali senza trascorrere almeno una paio di giorni a girovagare per templi, cascate, risaie intorno ad Ubud. Goa Gajah, Tegallalang, Pura Gunung Kawi, Tegenungan, Tirta Empul sono alcuni dei nomi tanto impronunciabili quanto indimenticabili. Sia chiaro: Bali è presa d’assalto dai turisti e la visita a ciascuna delle sue perle richiede pazienza. Tra comitive di cinesi urlanti, statunitensi di mezz’età sulle tracce di Julia Roberts (che qui ha “amato” in Mangia Prega Ama), italiani riconoscibili come sempre da chilometri di distanza e altezzosi backpacker francesi e poi anche indiani, australiani e non solo, ci si trova immersi come in un grande parco divertimenti dove però le piantine di riso sono vere e le antiche costruzioni sono in pietra e non in cartapesta. Simboli, su tutti, della bellezza di questa porzione di Bali presa d’assalto dal turismo sono le risaie di Tegallalang e lo straordinario tempio dell’acqua Tirta Empul. La luce del tramonto rende le prime ancora più affascinanti con il loro plasmare le leggere alture in terrazzamenti punteggiati da palme altissime. Ma scordatevi lo scatto perfetto di questa meravigliosa interpretazione umana del paesaggio: le file di persone che camminano per queste risaie e che percorrono i gradini fangosi ricavati nella terra, rovineranno i vostri scatti per Instagram. Il Tirta Empul è probabilmente uno dei templi più suggestivi che si possa vedere nel sudest asiatico. Qui migliaia di hinduisti giungono per immergersi in un percorso di preghiere nelle vasche riempite dalle acque che scorgano dal sottosuolo. Statue adornate con abiti poiché ospitanti spiriti e l’intenso profumo degli incensi che ciascun pellegrino tiene tra le dita, concorrono a creare un’atmosfera suggestiva, in cui ci si sente quasi di troppo, anche se poi si vedono decine di occidentali intenti in abluzioni con una GoPro tra le mani al posto del cestino fatto di foglie contenete le offerte da lasciare alle divinità. La visita prosegue al Goa Gajah, una caverna misteriosa a cui si accede attraverso la bocca del dio Bhoma. Più che un tempio vero e proprio, un luogo sacro agli hindu già nel XI secolo, ancora oggi avvolto dal mistero e da un fascino che su quest’isola sembra permeare tutto. Si potrebbero visitare poi il tempio Ulun Danu Bratan realizzato su un’isolotto nel lago a nord di Ubud. Ed infine, concludere una lunga giornata di "pellegrinaggio” con una lezione di yoga o di meditazione al tramonto. Raccolta la massima serenità interiore possibile si arriva così all’ora di cena con la voglia di sedersi scalzi ad un warung, ovvero i ristoranti tipici balinesi, per gustare del sate (spiedini di pollo con salsa satay) e, dopo una giornata trascorsa tra i templi, buttarsi finalmente sul tempeh.
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Sarà forse moralmente riprovevole, poco rispettoso dell'ambiente e attirerà l'odio di molti, ma mangiare la carne di balena in Norvegia non solo è un must, ma un’esperienza culinaria notevole. Anche solo assaggiarla è sbagliato, scomodo e antipatico come gesto, soprattutto conoscendone la storia, le problematiche e dopo averle viste magari sbuffare dal vivo al largo dell’Islanda. Con qualche rimorso e con la curiosità che batte il rispetto (come sempre) ecco che alla fine se si giunge a queste latitudini, è facile finire ad assaggiare un prodotto tanto tipico della tradizione. In generale carne e pesce da queste parti rappresentano la quasi totalità della cucina: dall'arrosto di renna, all'hamburger di alce, passando per l’epico salmone norvegese. Assumere proteine è un’usanza quotidiana. I paesaggi spettacolari, i fiordi più celebri del mondo, cittadine moderne ed eco-friendly sono decisamente il motivo principale per cui la Norvegia merita una visita. Per non parlare delle aurore boreali, che nelle latitudini più alte regalano visioni uniche. Ma anche a livello culinario i norvegesi si sanno difendere bene con una varietà di piatti pari a quelle delle ambientazioni in cui immergersi per mangiarli: si può gustare un delicato salmone in un raffinato ristorante nel centro di Oslo mentre al di là del vetro si guardano sfrecciare silenziose le infinite Tesla che popolano le strade o ci si può ritrovare seduti ad un baracchino del porto di una qualche cittadina a mangiare smørbrød, ovvero una grande fetta di pane ricoperta di gamberetti freschi che sanno di mare, di mare del nord. E perché no una bella impepata di cozze in stile norvegese, servita in una pentola ed accompagnata da patatine fritte, mentre si attendere di imbarcarsi sul traghetto per attraversare il fiordo. Ciò che rende speciale la Norvegia, al pari delle sue nazioni sorelle scandinave, è la natura forte, talvolta estrema, incredibilmente rispettata ed esaltata dall’uomo con le architetture, con progetti urbanistici e con scelte ambientali all’avanguardia. Non è raro imbattersi in percorsi pedonali ben studiati immersi nel verde o in piccoli edifici di legno e vetro in cui entrare liberamente e sedersi per ammirare il paesaggio, come non è inusuale percorrere spettacolari e sinuose strade che sottolineano l’andamento del terreno scendendo a valle. L’anima della Norvegia risiede tutta qui: nel come l’uomo riesca, con piccoli o grandi interventi, a sottolineare l’elemento naturale aumentandone la forza espressiva. Questa capacità, tutta norvegese, si esprime anche in cucina nei piatti pilastri della tradizione, nei quali i prodotti di origine animale vengono trattati, cucinati, insaporiti per esaltarne il gusto e creare esperienze dal sapore deciso. La balena va forte nella versione bistecca, ma forse la si apprezza meglio in un delicatamente deciso carpaccio servito solo o in involtini con crema di formaggio. Fette abbastanza spesse, colore forte: è scura, ricorda molto la bresaola nostrana ma ha un sapore decisamente più intenso e con un sentore di affumicato spinto, che quasi contrasta con la delicata e morbida consistenza. In poche parole: si fa ricordare! Spiace dirlo ma è davvero buona. A quanto pare ha apprezzato molto questa prelibatezza anche la cara Pippa Middleton, che pur sapendo a quali critiche sarebbe andata incontro ha espresso apprezzamenti per il carpaccio di balena degustato. Se lo dice Pippa c’è da fidarsi insomma. Certo, forse da questo punto di vista i norvegesi non rispettano molto il loro amato ambiente, ma come si può criticare una tradizione secolare insita nell’essere di un popolo? Questione non semplice, meglio allora dedicarsi al percorrere le isole Lofoten, fermandosi in villaggi dai nomi impronunciabili, dove fanno base i pescatori di merluzzo. È, infatti, nel mare attorno a queste isole che si pesca quello più pregiato, trasformato poi in stoccafisso e baccalà ed esportato per la quasi totalità in Italia: il legame delle Lofoten col nostro paese è fortissimo ed è normale vedere lungo le strade un continuo di tricolori italiani che sventolano in queste terre remote nordiche. Le Lofoten sono il perfetto compromesso per chi vuole assaggiare il lato più intenso e selvaggio della Norvegia, senza però aver voglia o tempo di spingersi fino alle remote Svalbard perse nel Mar Artico. Emozioni naturali si possono comunque vivere nei fiordi più celebri e facilmente raggiungibili, solcati quotidianamente da numerose navi da crociera, rovinando un po’ la poesia del luogo, ma regalando anche un piacevole contrasto agrodolce tra una natura spinta e una decisa presenza umana. Non si smette mai di stupirsi della meraviglia di queste insenature anche dopo aver visto una serie di fiordi in successione, da quelli più affollati a quelli più piccoli e remoti, ognuno regala paesaggi straordinari e silenzi profondissimi. Qui si vive una natura pura, che se pur forte ed intesa non incute timore ma affascina con i suoi boschi fittissimi ed il correre veloce delle nuvole spesso basse. Il sole, talvolta, squarcia il cielo penetrandolo con pochi raggi che concorrono ad enfatizzare dei paesaggi mozzafiato, altre volte la nebbia avvolge piccole porzioni di mare che paiono più laghetti per quanto sono circondate dai monti. È una natura poetica, romantica, che affascina e con forza si innalza a protagonista assoluta di questo paese. Ma se dopo aver percorso chilometri e chilometri su strade in mezzo ai boschi senza aver incontrato alcuna persona, se dopo aver ammirato arcobaleni comparire in mezzo ai fiordi o respirato l’aria purissima da uno strapiombo sul mare, si sentisse il bisogno di tornare a situazioni più urbane, Alesund e Bergen sono mete imperdibili. La prima è la destinazione perfetta per camminare nel centro cittadino o per avere una vista eccezionale dopo aver affrontato i 418 gradini che portano ad un belvedere indimenticabile da cui si può apprezzare tanto il centro abitato quanto il paesaggio naturale marino che lo circonda. Alesund non offre molto altro, ma anche solo immergersi nell’atmosfera di questa pittoresca e tipicissima cittadina del nord vale una mezza giornata. Al porto di Bergen si può mangiare pesce freschissimo appena pescato e preparato direttamente dai banchetti del mercato: un’ottima pausa pranzo per spezzare la visita del Bryggen, ovvero il quartiere storico dove le tradizionali costruzioni in legno con tetti spioventi ed ormai tutte ricurve si alternano generando un fronte di facciate colorato che celano vicoli stretti in cui perdersi. Un vero spettacolo insomma, che però mai potrà competere con gli scorci che questo paese offre sulla sua natura e probabilmente anche qui Pippa sarebbe d’accordo.
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DavideArchitetto per caso, viaggiatore per scelta. Fotografo a tempo perso e buona forchetta a tempo pieno Archives
July 2018
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